Bonus 200 euro: indicazioni sull’esposizione del credito nel flusso Uniemens


L’inps fornisce indicazioni per l’esposizione del credito maturato per effetto dell’erogazione dell’indennità una tantum pari a 200 euro, da parte dei datori di lavoro, sul flusso Uniemens.

L’erogazione dell’indennità una tantum genera un credito che il datore di lavoro può compensare in sede di denuncia contributiva mensile, come segue:
– nell’elemento <CodiceCausale> dovrà essere inserito il nuovo valore “L031”, avente il significato di “Recupero indennità una tantum articolo 31 comma 1 decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50”;
– nell’elemento <IdentMotivoUtilizzoCausale> dovrà essere inserito in valore “N”;
– nell’elemento <AnnoMeseRif> dovrà essere indicato l’anno/mese “07/2022”;
– nell’elemento <ImportoAnnoMeseRif>dovrà essere indicato l’importo da recuperare.
I datori di lavoro con lavoratori iscritti alla Gestione Pubblica, per il recupero dell’indennità a essi erogata, dovranno compilare l’elemento <RecuperoSgravi> nel modo seguente:
– nell’elemento <AnnoRif> dovrà essere inserito l’anno 2022;
– nell’elemento <MeseRif> dovrà essere inserito il mese 07;
– nell’elemento <CodiceRecupero> dovrà essere inserito il valore “35”, avente il significato di “Recupero indennità una tantum articolo 31 comma 1 decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50”;
– nell’elemento <Importo> dovrà essere indicato l’importo da recuperare.
I datori di lavoro agricoli, al fine di recuperare l’indennità corrisposta ai lavoratori, nelle denunce Posagri delle competenze del mese di luglio 2022 valorizzeranno in <DenunciaAgriIndividuale> l’elemento <TipoRetribuzione> con il <CodiceRetribuzione> “9”, avente il significato di “Recupero indennità una tantum articolo 31 comma 1 decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50”.
Per gli elementi <TipoRetribuzione> che espongono il predetto <CodiceRetribuzione> “9” deve essere valorizzato unicamente l’elemento <Retribuzione> con l’importo dell’indennità una tantum da recuperare (Messaggio Inps 13 giugno 2022, n. 2397).


Adeguamento dei minimi retributivi per la Metalmeccanica – Confapi



Sorroscitto, l’accordo in attuazione di quanto previsto dall’Ipotesi di Accordo rinnovo del CCNL 26 maggio 2021 in materia di adeguamento dei minimi contrattuali, indennità di trasferta e indennità di reperibilità per i lavoratori della Metalmeccanica Piccola Industria


Le parti, sulla base della dinamica inflativa consuntivata relativa all’anno 2021, misurata con “l’IPCA al netto degli energetici importati”, così come comunicata dall’ISTAT il 7 giugno u.s. pari allo 0,8%, hanno definito l’adeguamento del valore dei minimi in vigore al 31 maggio 2022 come da tabella riportata:




































Livelli

Valore riferito all’IPCA

1 € 10,87
2 € 12,00
3 € 13,31
4 € 13,89
5 € 14,88
6 € 15,95
7 € 17,12
8 € 18,61
8Q € 18,61
9 € 20,70
9Q € 20,70


 Tenuto conto di quanto previsto dall’Ipotesi di Accordo di rinnovo del 26 maggio 2021, e verificato che la rilevazione dell’IPCA non comporta scostamenti sugli aumenti definiti e decorrenti dal 1° giugno 2022 dal richiamato accordo, i minimi da riconoscere sono quelli riportati nella tabella seguente:


Minimi retributivi in vigore dal 1° giugno 2022















































Livello

Aumenti dal 1/6/2022

Minimi CCNL dal 1/6/2022

1 16,79 1.375,00
2 18,55 1.518,55
3 20,58 1.684,87
4 21,47 1.757,91
5 23,00 1.883,07
6 24,66 2.018,99
7 26,46 2.166,05
8 28,77 2.355,54
8Q 28,77 2.355,54
9 32,00 2.619,60
9Q 32,00 2.619,60


Trasferte e Reperibilità
Le parti, sulla base della dinamica inflativa consuntivata 2021 misurata con “l’IPCA al netto degli energetici importati” cosi come fornita dall’ISTAT e pari allo 0,8%, hanno altresì proceduto all’adeguamento dell’indennità di trasferta forfetizzata e dell’indennità di reperibilità in essere alla data del 31 maggio 2022.


Pertanto, a far data dal 1° giugno 2022 le suddette indennità risultano le seguenti:












Indennità di trasferta

Dall1/6/2022

Trasferta intera € 44,47
Quota pasto meridiano o serale € 11,97
Quota pernottamento € 20,53


Indennità di reperibilità dal 1° giugno 2022



























 

16 h (gg lavorato)

24 h (gg libero)

24 h(festive)

6 gg

6gg con festivo

6 gg con festivo e gg libero

Superiore al 5° livello € 6,84 € 11,24 € 11,83 € 45,42 € 46,02 € 50,42
4° e 5° livello € 5,95 € 9,33 € 10,01 € 39,06 € 39,74 € 43,13
1°, 2°, 3° livello € 4,99 € 7,51 € 8,11 € 32,48 € 33,09 € 35,60

CCNL EDITORIA E GRAFICA INDUSTRIA: seconda tranche dell’una tantum

Assografici, con circolare dell’8/6/2022, ricorda alle Aziende Grafiche Editoriali associate, che con la paga di giugno 2022, va corrisposta la seconda tranche dell’una tantum

ASSOGRAFICI, una delle parti datoriali firmatarie con le OO.SS. SLC-CGIL / FISASCAT-CISL / UILTUCS del CCNL per i dipendenti delle aziende grafiche ed affini e delle aziende editoriali anche multimediali, ricorda alle aziende associate che, con la retribuzione del mese di giugno, è prevista l’erogazione della seconda tranche di una tantum pari ad € 100,00 lordi.
“Come indicato dalla disposizione contrattuale, l’erogazione dell’una tantum è prevista per i lavoratori in forza alla data del 19 gennaio 2021, è commisurata al periodo di servizio prestato dall’ultima scadenza al 31/12/2020, con riduzione proporzionale esclusivamente in caso di aspettativa, assenza facoltativa e CIG-FIS e cassa integrazione in deroga a zero ore (non considerando la causale covid).”

INPS: nuovo serivizio on line fondo casalinghe


Relativamente al “Fondo casalinghe”, l’Inps fornise alcune indicazioni servizio telematico e le procedure per il pagamento online dei contributi.


Il servizio è disponibile sul sito internet Inps a percorso: “Prestazioni e Servizi” > “Servizi” > “Fondo previdenza casalinghe – Iscrizione (Cittadino)”. Per l’accesso è richiesta l’autenticazione tramite SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) almeno di II livello, CIE (Carta d’Identità Elettronica), CNS (Carta Nazionale dei Servizi).
Tale servizio consente al cittadino di presentare online la domanda di iscrizione al Fondo. L’utente è guidato a sottoscrivere le dichiarazioni sostitutive e l’informativa sul trattamento dei dati personali.
A conclusione dell’operazione il servizio rende disponibile la stampa della ricevuta che contiene il riepilogo dei dati inseriti e il codice identificativo della domanda.
L’iscrizione ha effetto dalla conclusione con esito positivo delle operazioni previste dal servizio online.
Il servizio è disponibile anche per i Patronati. L’accesso è possibile attraverso il sito internet dell’Istituto www.inps.it al seguente percorso: “Prestazione e Servizi” > “Servizi” > “Fondo previdenza casalinghe – Iscrizione (Patronato)”.
Gli operatori di Patronato vi possono accedere secondo le consuete modalità, con la dichiarazione esplicita di essere in possesso della delega a operare.
Al termine della compilazione da parte del cittadino o del soggetto abilitato, la domanda è acquisita automaticamente dalla procedura; non si rende, di conseguenza, necessario alcun adempimento da parte degli operatori di Sede. La domanda è accolta automaticamente se non sono rilevate condizioni ostative all’iscrizione al Fondo. Il cittadino appena iscritto potrà iniziare a effettuare i versamenti dopo avere ricevuto il provvedimento di accoglimento della richiesta.
Nell’eventualità che non siano soddisfatti tutti i requisiti necessari all’accoglimento immediato, la domanda è posta in stato “Da verificare”, per permettere agli operatori di Sede di espletare gli ulteriori controlli. Al termine dell’istruttoria il richiedente riceverà la comunicazione dell’esito della verifica tramite lettera ordinaria, in caso di accoglimento, o raccomandata, in caso di reiezione.
Nel Portale dei Pagamenti, con accesso dalla home page del sito www.inps.it, è presente una sezione dedicata al Fondo Casalinghe e Casalinghi. Nel dettaglio, dal Portale è possibile:
– compilare e stampare gli avvisi di pagamento PagoPA;
– eseguire il pagamento dei contributi online utilizzando paga online PagoPA;
– visualizzare e stampare le ricevute di pagamenti effettuati tramite PagoPA.
Il versamento può essere effettuato in qualsiasi momento dell’anno e con importo libero, anche se la soglia minima per l’accredito di un mese di contribuzione è di 25,82 euro. Per conoscere l’importo e il numero di contributi (in mesi) che l’INPS accrediterà ogni anno, quindi, è sufficiente dividere la cifra complessiva versata nell’anno di riferimento per 25,82 euro (Messaggio Inps 11 giugno 2022, n. 2378).

Illegittimo il licenziamento del dirigente dissenziente


E’ illegittimo il licenziamento del dirigente – direttore generale che, anche al fine di non incorrere in responsabilità verso la società per atti e comportamenti degli amministratori, eserciti, in maniera non pretestuosa, il diritto al dissenso, con modalità non diffamatorie o offensive (Corte di Cassazione, Sentenza 31 maggio 2022, n. 17689).


La vicenda


La Corte distrettuale respingeva l’appello proposto da un lavoratore, direttore generale con qualifica di dirigente, volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli.
I giudici, nel respingere l’appello, avevano evidenziato che il dirigente nei primi giorni di ingresso in azienda aveva manifestato al consigliere delegato le sue riserve sulla valutazione di alcune poste contabili inserite nella bozza del bilancio e che lo stesso aveva poi partecipato alla riunione del consiglio di amministrazione della società, nel corso della quale aveva dato lettura di un documento in cui manifestava critiche al bilancio, rivelatesi, in seguito alle verifiche svolte, sostanzialmente infondate;
pertanto la società aveva provveduto a muovere una contestazione disciplinare al dirigente che, con lettera, forniva giustificazioni.


Alla luce di tanto, i giudici hanno ritenuto che il licenziamento intimato fosse sorretto da giusta causa, o quanto meno da giustificatezza, sul presupposto che la facoltà del dirigente di sollevare perplessità circa il bilancio della società datrice di lavoro, non legittimava lo stesso, specialmente nelle fasi iniziali del rapporto di lavoro, a pubblicizzare le proprie perplessità, a descrivere sempre pubblicamente le fattispecie di reato potenzialmente configurabili in caso di mancato accoglimento dei rilievi dallo stesso sollevati e ad addebitarne la responsabilità ai membri del CdA della società.


La Corte aveva, inoltre, ritenuto che i comportamenti del dirigente già nelle fasi iniziali del rapporto rivelavano come lo stesso si fosse volontariamente posto in contrapposizione con le scelte adottate dagli organi gestionali della società e come, quindi, non potesse sussistere alcun rapporto di fiducia e che l’evidente infondatezza delle censure espresse alla bozza di bilancio giustificava il licenziamento irrogato.


La pronuncia della Cassazione


La Suprema Corte, accogliendo il ricorso proposto dal lavoratore, ha richiamato alcuni consolidati principi di diritto, tra cui quello in base al quale il comportamento del lavoratore, consistente nella divulgazione di fatti ed accuse, ancorché vere, obiettivamente idonee a ledere l’onore o la reputazione del datore di lavoro, esorbita dal legittimo esercizio del diritto di critica e può configurare un fatto illecito, consentendo il recesso del datore di lavoro, se l’illecito stesso risulta incompatibile con l’elemento fiduciario necessario per la prosecuzione del rapporto, qualora si traduca in una condotta che sia imputabile al suo autore a titolo di dolo o di colpa, e che non trovi adeguata e proporzionale giustificazione nell’esigenza di tutelare interessi di rilevanza giuridica almeno pari al bene oggetto dell’indicata lesione.


Tenuto conto, poi, del ruolo di direttore generale rivestito dal lavoratore, la Corte di legittimità ha posto in evidenza i profili di responsabilità legati a tale figura e la valenza del diritto al dissenso come meccanismo di esonero dalla responsabilità.
La sentenza impugnata, difatti, aveva ritenuto, erroneamente, esorbitante la manifestazione di dissenso del dipendente per avere egli esposto le critiche pubblicamente, senza documenti a supporto e sapendo che si trattava di una bozza di bilancio modificabile.
Ravvisando, dunque, in tale condotta la giusta causa di recesso, la stessa sentenza si è, invero, posta in contrasto con il principio in base al quale deve escludersi che l’esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro possa essere di per sé fonte di responsabilità disciplinare e giustificare il licenziamento per giusta causa, a meno che la denuncia non abbia carattere calunnioso.
Pertanto, non può attribuirsi rilevanza disciplinare atta ad integrare di per sé la giusta causa di recesso alla condotta di un lavoratore, dirigente e direttore generale che, senza neanche rivolgersi all’autorità giudiziaria o amministrativa, si limiti a ipotizzare la configurabilità di illeciti penali o amministrativi, mettendo in guardia i soggetti insieme a lui teoricamente responsabili.


Nei confronti del dirigente in questione la Corte d’appello aveva ritenuto, inoltre, integrato il requisito di giustificatezza del licenziamento in ragione della contrapposizione con le scelte datoriali, desumibile dalla complessiva condotta tenuta dal dipendente, giudicata sufficiente a violare ogni rapporto di fiducia, oltre che sulla base dell’ infondatezza delle accuse espresse alla bozza di bilancio.
Tuttavia, come posto in rilievo dal Collegio, il legame fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro dirigenziale non può determinare alcuna automatica compressione del diritto di critica, di denuncia e di dissenso spettante al lavoratore.
Ne consegue che, anche nel rapporto di lavoro dirigenziale e ai fini della giustificatezza del recesso, l’obbligo di fedeltà del dirigente deve essere bilanciato con il diritto di critica, di denuncia e di dissenso al medesimo spettante, escludendo che l’esercizio di tali diritti, quando avvenga in maniera ragionevole e non pretestuosa nonché con modalità formalmente corrette, possa integrare di per sé la nozione di giustificatezza del licenziamento.
Da tanto discende l’illegittimità del licenziamento del dirigente che, anche al fine di non incorrere in responsabilità verso la società per atti e comportamenti degli amministratori, eserciti, con modalità non diffamatorie o offensive, il proprio diritto al dissenso.

Adottato il progetto di ricerca per la valutazione dei percorsi di inclusione


Adottato il progetto di ricerca per la valutazione controfattuale del Reddito di Cittadinanza (Ministero lavoro, comunicato 10 giugno 2022).

Il progetto fa riferimento a un esperimento controllato dei percorsi di inclusione dei beneficiari del Reddito di cittadinanza: sia quelli avviati attraverso i Patti per il lavoro, sia quelli definiti nei Patti per l’Inclusione Sociale, con lo stesso approccio metodologico e il medesimo piano di campionamento.
L’obiettivo è quantificare l’efficacia dei percorsi di attivazione previsti dalla norma, laddove correttamente implementati. Non è quindi finalizzata a stimare l’impatto attuale della misura, che dipenderebbe dallo stato corrente di implementazione.
La metodologia controfattuale permette di isolare e identificare l’impatto causale dei percorsi sul benessere, l’inserimento lavorativo o dell’acquisizione di competenze, e altre sfere tramite l’assegnazione casuale dei beneficiari ai gruppi di controllo e trattamento. Il gruppo di controllo continuerà a ricevere il beneficio economico, ma non viene sottoposto agli impegni e interventi previsti dai percorsi di inclusione per la durata della valutazione.
L’impostazione permette sia di ridurre eventuali distorsioni create dal diverso stato di implementazione dei percorsi d’inclusione sociale e lavorativa nelle diverse aree del territorio, sia di utilizzare i risultati della valutazione per supportare i responsabili dell’implementazione del Reddito di Cittadinanza in questa fase di attuazione della misura, in cui la parte di attivazione non è ancora andata a regime per migliorare il disegno e l’implementazione dei percorsi di accompagnamento, aumentare la credibilità e la trasparenza del RdC e testare innovazioni nel disegno della misura o nella fornitura di servizi (service delivery).

Nuove spese 2022 al Fondo Gomma e Plastica

Prevista una nuova procedura di prelievo delle quote associative a carico degli iscritti nella fase di accumulo del Fondo Nazionale di Pensione Complementare Gomma e Plastica.

Approvata la nuova modalità di quantificazione delle spese direttamente a carico degli iscritti che vengono ora determinate in cifra fissa dal Fondo Nazionale di Pensione Complementare per i lavoratori dell’industria della gomma, cavi elettrici ed affini e delle industrie delle materie plastiche.
Tale aggiornamento è stato necessario perché il precedente criterio, quantificato in percentuale rispetto alle voci della retribuzione valide ai fini del calcolo del TFR, non è più consentito dalla Commissione di Vigilanza.
Sono state determinate per l’anno 2022 le seguenti spese direttamente a carico degli iscritti che si trovino nella fase di accumulo:
– € 22 annui per gli associati con contribuzione ordinaria;
– € 18 annui per gli aderenti privi di contribuzione;
– non applicazione delle spese ai familiari fiscalmente a carico            di lavoratori aderenti.
Per il 2022 le spese in cifra fissa, conteggiate pro-quota a partire dal 31 marzo, sono pari quindi ad € 16,50; per il periodo del 2022 antecedente a tale data si è utilizzato il previgente criterio (0,07% della retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR con prelievo mensile).
Il nuovo criterio di calcolo delle spese associative non comporterà variazioni di carattere sostanziale circa l’entità complessiva annuale del prelievo rispetto alla precedente modalità.

Escluso l’IRPEF per il lavoratore residente in Svizzera


9 giu 2022 Non è tenuto al pagamento dell’IRPEF il contribuente residente in Svizzera che presti la propria attività lavorativa in Italia (Corte di Cassazione, Ordinanza 06 giugno 2022, n. 18009).


La vicenda


Con avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate sottoponeva a tassazione i redditi da lavoro corrisposti ad un lavoratore da società italiana e quelli assimilati a redditi da lavoro dipendente corrisposti dall’INPS, sul presupposto che questi, cittadino italiano, residente in Svizzera ed iscritto all’AIRE, avesse domicilio fiscale in Italia.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso del contribuente e la Commissione tributaria regionale rigettava l’appello dell’Agenzia.
In particolare, la C.T.R. richiamava la norma convenzionale OCSE, secondo la quale, in caso di conflitto tra Stati circa la residenza fiscale di una persona fisica, il potere impositivo spetti preliminarmente allo Stato ove il soggetto abbia un’abitazione permanente, in subordine a quello in cui abbia il proprio centro di interessi vitali, e ancora in subordine a quello in cui esso abbia una dimora abituale; evidenziava poi che nel caso in argomento il lavoratore aveva dimostrato di essere effettivamente residente in Svizzera, di essere iscritto all’AIRE, unitamente a moglie e figlio, di essere titolare del mutuo stipulato per l’acquisto dell’abitazione in Svizzera, di essere titolare di più utenze domestiche, che il figlio frequentava l’Università di Zurigo e la moglie lavorava in una scuola di Lugano; riteneva infine irrilevante, a fronte di tali elementi, che egli lavorasse presso una società con sede in Italia, avendo lo stesso dimostrato di recarsi quotidianamente al lavoro dalla propria abitazione in Svizzera, vista la breve distanza.
Avverso la sentenza della C.T.R. ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate.


La pronuncia della Corte


La Cassazione ha rigettato il ricorso, rilevando che nel caso di specie la Commissione tributaria aveva correttamente ritenuto che il lavoratore avesse adempiuto all’onere probatorio posto a suo carico.
La stessa, difatti, dopo aver richiamato la circolare 140E del 1999 dell’Agenzia delle entrate, che indica gli elementi in base ai quali la parte possa dimostrare l’effettività della residenza nello Stato estero a fiscalità privilegiata, aveva ritenuto non fittizio il trasferimento della residenza all’estero del contribuente in questione.


La Corte ha, inoltre, rammentato che soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato e che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza.
Atteso che nel caso di specie il lavoratore era residente in Svizzera ed iscritto all’A.I.R.E., il criterio di attribuzione della residenza fiscale in Italia invocato dall’ufficio tributario italiano era, dunque, rappresentato dal domicilio.
Secondo costante giurisprudenza, tuttavia, quest’ultimo deve essere inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi; in concreto, dunque, il domicilio va valutato in relazione al luogo in cui la persona intrattiene sia i rapporti personali che quelli economici.
Tanto premesso, nel caso di specie, la C.T.R., giungendo a conclusioni pienamente condivise dal Collegio, aveva negato che potesse attribuirsi al lavoratore un domicilio in Italia, adeguatamente valutando i vari elementi dedotti e provati dal lavoratore ai fini della residenza, attinenti alla sfera personale e familiare, evidenziando, in base ad essi, che da molti anni lo stesso contribuente aveva stabilito il proprio centro di interessi vitali in Svizzera, assieme al proprio nucleo familiare, e che non vi fossero altri elementi gravi, precisi e concordanti di segno contrario, restando del tutto irrilevante la vicinanza tra luogo di residenza e sede di lavoro dello stesso contribuente.

Minimale contributivo per le cooperative che deliberano un piano di crisi aziendale


L’Inps fornisce alcune precisazioni sulla corretta individuazione dell’obbligo contributivo in capo alle società cooperative nell’ipotesi di deliberazione di un piano di crisi aziendale.


Il regolamento interno delle società cooperative deve, in ogni caso, contenere l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, all’occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi, con il divieto, per l’intera durata del piano, di distribuire eventuali utili, nonché la possibilità di prevedere “forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie”, fatto salvo “il rispetto del solo trattamento economico minimo”.
Relativamente agli aspetti di carattere previdenziale, ai fini della contribuzione previdenziale ed assicurativa si fa riferimento alle normative vigenti previste per le diverse tipologie di rapporti di lavoro adottabili dal regolamento delle società cooperative.
Le disposizioni secondo cui, il regolamento della cooperativa deve prevedere, in ogni caso, la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti retributivi, produce effetti anche sulla determinazione e quantificazione del minimale contributivo.
La disciplina sui minimali contributivi è contenuta nell’articolo 1, comma 1, del DL 9 ottobre 1989, n. 338, secondo cui “la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.
Per il periodo di durata del piano di crisi, opera il minimale di retribuzione giornaliera.
Infatti, nel caso di specie, è la legge, ovvero il combinato disposto di cui agli articoli 4 e 6, che introduce in via sistematica una specifica ipotesi di “deroga” alla disciplina del minimale contributivo.
Le “crisi” cui fanno riferimento le disposizioni in parola si caratterizzano per la particolare gravità e straordinarietà che potrebbero compromettere la continuità aziendale.
Inoltre, al fine di evitare possibili abusi a danno dei soci lavoratori, la deliberazione del “piano di crisi aziendale” deve contenere elementi adeguati e sufficienti tali da esplicitare: l’effettività dello stato di crisi aziendale che richiede gli interventi straordinari consentiti dalla legge; la temporaneità dello stato di crisi e dei relativi interventi; uno stretto nesso di causalità tra lo stato di crisi aziendale e l’applicabilità ai soci lavoratori degli interventi in esame.
Le misure indicate possono concorrere con le forme di sostegno al reddito e dell’occupazione alle quali la cooperativa abbia accesso a norma di legge, avendo cura che i predetti strumenti siano opportunamente coordinati allo scopo di ottenere dai soci apporti sostanzialmente equilibrati.
Tanto premesso, esclusivamente per il periodo di durata del piano di crisi aziendale deliberato, è consentito il superamento della generale disposizione di cui all’articolo 1, comma 1, del D.L. n. 338/1989. Pertanto, limitatamente al periodo di durata del piano di crisi aziendale, l’obbligazione contributiva deve essere quantificata sulla base di un imponibile corrispondente alle somme effettivamente corrisposte ai lavoratori, nel rispetto tuttavia del minimale contributivo giornaliero (Messaggio Inps 8 giugno 2022, n. 2350).

Provvedimento di sospensione dell’attività con effetto posticipato


L’Ispettorato Nazionale del Lavoro precisa che con la nuova disciplina del provvedimento di sospensione dell’attività, gli ispettori possono posticiparne gli effetti nei casi in cui l’interruzione della stessa potrebbe comportare gravi conseguenze ai beni ed alla produzione o compromettere il regolare funzionamento di un servizio pubblico. (Nota 07 giugno 2022, n. 1159).

A seguito dell’introduzione del “nuovo” provvedimento di sospensione, a differenza della previgente disciplina, non è più contemplata la discrezionalità in capo al personale ispettivo, fatta salva la possibilità di farne decorrere gli effetti in un momento successivo, a meno che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.
Tuttavia, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito che resta ferma la necessità di valutare circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità, di non adottare il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale.
Tali circostanze sono anzitutto legate ad esigenze di salute e sicurezza sul lavoro. In altre parole, laddove la sospensione dell’attività possa determinare a sua volta una situazione di maggior pericolo per l’incolumità dei lavoratori o di terzi è opportuno non emanare alcun provvedimento.
In tal senso, dunque, l’Ispettorato ha fornito indicazioni al personale ispettivo di non adottare il provvedimento di sospensione quando l’interruzione dell’attività svolta dall’impresa determini a sua volta una situazione di pericolo per l’incolumità dei lavoratori della stessa o delle altre imprese che operano nel cantiere (si pensi, ad esempio, alla sospensione di uno scavo in presenza di una falda d’acqua o a scavi aperti in strade di grande traffico, a demolizioni il cui stato di avanzamento abbia già pregiudicato la stabilità della struttura residua e/o adiacente o, ancora, alla necessità di ultimare eventuali lavori di rimozione di materiali nocivi).
La mancata adozione del provvedimento di sospensione costituisce, pertanto, un’extrema ratio rispetto alla fisiologica applicazione della normativa, determinata dal rischio che dall’adozione del provvedimento possano derivare situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.


Tale valutazione va effettuata in rapporto alla fattispecie concreta da parte del personale ispettivo, effettuando un bilanciamento degli interessi coinvolti nel caso di specie e la decisione della mancata adozione va accuratamente motivata, indicando già nel verbale di primo accesso i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione.


A tal fine, può ritenersi un grave rischio per la pubblica incolumità la sospensione di un servizio pubblico che, in assenza di valide alternative che possano garantire l’esercizio di diritti spesso di rango costituzionale, va dunque salvaguardato (ad es. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica ecc.).
Analogamente è possibile che dalla sospensione dell’attività di allevamento di animali derivi un grave rischio per la pubblica incolumità, stanti peraltro le conseguenze di natura igienico sanitaria legate al mancato accudimento.
In tutte le ipotesi in cui non ricorrano i presupposti per una mancata adozione del provvedimento di sospensione, gli ispettori possono valutare il posticipo degli effetti della sospensione in un momento successivo a quello dell’adozione del provvedimento, qualora valutino che dallo stesso possano comunque derivare significativi danni per ragioni tecniche, sanitarie o produttive (ad esempio, per l’interruzione di cicli produttivi avviati o danni agli impianti per l’improvvisa interruzione, raccolta dei frutti maturi, vendemmia in corso, ecc.). Ciò a condizione che dal posticipo non derivino rischi per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.
Laddove, medio tempore, stante il posticipo degli effetti del provvedimento di sospensione, l’azienda provveda a regolarizzare le violazioni riscontrate, il provvedimento può comunque essere revocato.


L’Ispettorato ha infine precisato che in ogni caso la continuazione dell’attività per mancata adozione del provvedimento o per posticipazione dei suoi effetti deve comunque avvenire nel rispetto di ogni condizione di legalità e di sicurezza, pertanto sarà ad esempio impedito ai lavoratori cd. “in nero” di continuare a svolgere la propria attività sino ad una completa regolarizzazione e la possibilità di “imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”.